imageArriva direttamente dagli Stati Uniti la tesi secondo la quale esisterebbe un limite dell’umana intelligenza, e, tale limite, sarebbe stato già superato dall’uomo moderno, meno ‘intelligente’ del suo antenato, l’Homo Sapiens. E i genetisti dell’Università di Stanford pensano che sia stato proprio il progresso tecnologico ad aver giocato a nostro sfavore: se è vero che ha reso meno difficoltosa e più comoda l’esistenza, rendendoci più longevi, parallelamente, ha portato a un impigrimento delle capacità intellettive umane, e in particolare i social network favorirebbero un modello comportamentale che renderebbe impossibile la concentrazione e la riflessione. Al contrario dell’uomo tecnologico, i nostri predecessori erano continuamente spronati dalla selezione naturale, spietata, che li costringeva ad aguzzare l’ingegno, pena l’estinzione di coloro che non riuscivano ad adattarsi ai mutamenti delle condizioni ambientali. In compenso, tuttavia, gli esperti sottolineano come la nostra capacità di adattamento sia ancora piuttosto spiccata e, anche in questo caso, il progresso tecnologico ha esercitato una forte influenza, ma stavolta in senso positivo. La diffusione più capillare della conoscenza ha reso, infatti, gli uomini più informati, più connessi e consentito di controbilanciare, in qualche modo, eventuali lacune cognitive del singolo individuo. Forse il vero problema risiede nella nostra incapacità di valutare correttamente gli effetti positivi delle nuove tecnologie, e dunque si tratterebbe di un problema fondamentalmente di tipo culturale. Il punto non è di far uscire le tecnologie dalle nostre vite o di centellinare i tempi di utilizzo. Semmai ci si deve impegnare a capire come sfruttare al meglio il frutto di millenni di evoluzione dell’ingegno umano.

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