“Un robot non può recare danno all’umanità, né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, l’umanità riceva danno“. Così parlava Isaac Asimov, il celebre chimico e scrittore russo, padre della fantascienza e della divulgazione scientifica. Da quando l’uomo ha messo piede sulla Terra, la natura ha ottimizzato soluzioni efficienti ed efficaci sotto il profilo energetico e funzionale, rispecchiando, in un certo qual modo, quella rivoluzione nanotecnologica alla quale assistiamo oggi, frutto di un cambiamento culturale e tecnologico che si manifesta (anche) in nanorobot programmabili e capaci di compiere operazioni complesse, anche all’interno del corpo umano. Il merito è tutto degli studi sulla robotica, complici di aver aperto la strada ad una varietà mai pensata di applicazioni, aprendo così scenari tecnologici che sembrano ripercorrere le tappe dell’evoluzione umana. Siamo tutti al corrente dell’esistenza di robot chirurgici e terapeutici utilizzati in campo medico, dalle misure talmente ridotte da essere in grado di nuotare nel corpo umano, dotati di sistemi di propulsione e riconoscimento di cellule malate. In futuro, proprio questi mini-robot saranno fondamentali per migliorare i nostri sistemi diagnostici e terapeutici, passando a soluzioni sempre meno invasive e più accessibili. Ma, accanto a questi minuscoli geni della robotica, ci sono anche soluzioni protesiche e riabilitative: pensate all’esoscheletro e alla mano robotica, due dei prototipi indossabili la cui tecnologia si sta sviluppando con grandissimi risultati. L’esoscheletro è un apparato robotico che può assolvere un gran numero di funzioni, come riabilitare la capacità di movimento di pazienti affetti da gravi menomazioni, o aumentare le prestazioni di un corpo umano sano, o infine assistere gli anziani agevolando la loro mobilità. La mano robotica, invece, è una protesi di mano comandata da elettrodi mioelettrici che registrano i campi elettrici superficiali che si generano sulla pelle della persona a seguito delle contrazioni dei muscoli o dei tendini. Allontanandoci dal campo prettamente biomedicale, conosciamo i robot utilizzati nel caso di catastrofi naturali progettati e costruiti per operare in spazi aperti. Walkman, ad esempio, è un umanoide gigante concepito dall’Istituto Italiano di Tecnologia per operare in situazioni calamitose o di difficile operazione da parte dell’uomo, ed è addirittura capace di guidare, aprire e chiudere porte, girare valvole e salire e scendere scale. Tutte funzioni che anche l’essere umano ha imparato man mano che l’evoluzione naturale lo dotava delle conoscenze e dei mezzi a ciò adeguati. Ma pensiamo anche alla categoria dei robot assistenti dell’uomo: interagiscono con gli umani durante l’esecuzione delle faccende domestiche, all’atto di servire in un bar o accompagnare i figli a scuola. Tra questi, il più famoso (nonchè il più gradevole nell’aspetto) è iCub, l’umanoide cognitivo del quale vi avevamo parlato sottolineando la sua natura “quasi umana”: dotato di vista, udito, pelle tattile e capacità di linguaggio, iCub ha un’intelligenza artificiale che gli permette di imparare ogni giorno qualcosa di nuovo. È evidente che l’impatto innovativo della robotica genererà vere e proprie rivoluzioni nel nostro modo di concepire non solo la tecnologia, ma anche altri settori, come l’economia, l’industria e i rapporti interpersonali: l’evoluzione umana sembra non poter più prescindere dal contributo tecnologico della robotica, che sembra sempre più prossima a divenire una branca delle neuroscienze, al fine di progettare umanoidi “bio ispirati” che ci auguriamo possano aiutarci nei termini in cui auspicava Isaac Asimov.